Qualche sera fa sono stata ospite di Cap’alice un delizioso ristorante nel cuore di Napoli, dove la Giornalista enograstronomica Marina Alaimo ha presentato una cantina degna di nota: Petilia. Ma partiamo dal principio. A via Bausan al civico 28, c’è un locale gestito da Mario Lombardi che vanta una cucina tipica ma raffinata e che essendo in una via ormai arteria pulsante della città, è diventato anche un punto di riferimento per l’aperitivo che viene servito anche all’esterno del locale, su tavoli alti ricavati da botti. È quella che si può definire un’enosteria tipica napoletana, ovvero qui i legami con le tradizioni partenopee sono molto forti ma c’è un’occhio attento alla scelta dei vini che punta decisamente sulla qualità.
L’ultima serata di Storie di vini e vigne (anche questa volta sold-out), format ideato e condotto dalla stessa Alamio vede appunto la degustazione dei vini Petilia, un’azienda irpina nata dalla passione irrefrenabile di due giovani Teresa e Roberto Bruno che oggi sono ampiamente conosciuti e specializzati nel Greco di Tufo. Si vede nei loro occhi, tutta la fatica, la speranza, l’ebbrezza e la voglia di far sempre meglio, di raggiungere nuovi obiettivi, e di spostare più in là l’asticella della perfezione. A loro piacciono i terreni complicati, se sono scoscesi e pietrosi ancora meglio.
Non amano le cose facili. Le loro vigne si trovano tra Altavilla, Chianche e Tufo, e nei loro sei ettari si dilettano nella produzione di DOCG, dove in effetti il terreno è impervio, scosceso e il suolo è decisamente calcareo. Durante la serata ci dicono che hanno scelto questo nome in quando evoca il termine Poetilia,che significa piccola nuova patria ed è il nome che i greci diedero a questo fazzoletto di terra. Ci vuol coraggio e un po’ di incoscienza, a voler provare a fare un prodotto che sia al top.
Ci vogliono anni di vacanze private, di notti insonni, di sacrifici economici e di tempo per fare un’azienda come Petilia.
Ma tempo al tempo e vino al vino. Quello che beviamo durante la serata sono 7 vini straordinari, eccellenti, una selezione di Fiano e Greco di Tufo di diverse annate. Il loro profumo, il loro aroma e il loro sapore non può che meritare una medaglia. Ovviamente gold come il loro stupendo colore che va dall’oro chiaro a quello più intenso. Marina in maniera sapiente e magistrale ci spiega ogni singolo bicchiere, facendoci notare piccoli particolari che per i palati meno istruiti come il mio erano decisamente difficili da notare, eppure ci sono eccome!
Per me vince su tutti il loro 4 20, un Greco di Tufo che viene prodotto su un piccolissimo appezzamento di terra, proprio in cima alla montagna e per questo esposto a 4 venti. Dopo la degustazione Cap’alice ci ha fatto provare anche la sua cucina, ottimo l’agnello ma eccellente e degno di lode la pasta e piselli, realizzata con il pisello 100 giorni del presidio slow food del Vesuvio. La cremosità eccezionale, la fettina a velo di guanciale m’ha conquistata definitivamente. La cena si è conclusa con una piacevolissima e fresca delizia a limone.
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